da P. Benedetto Nivakoff, O.S.B. Priore
NORCIA .- Cari amici, San Benedetto parla della vita del monaco come di una Quaresima continua. In ogni momento, la Passione e la morte di Cristo devono servigli quasi come degli occhiali da sole, attraverso i quali possa vedere tutto il mondo, certo, ma in una tinta diversa. Dunque persino a Pasqua, anche se San Benedetto non ne parla esplicitamente; tuttavia leggiamo nella sua vita stessa che da giovane eremita era talmente entusiasta della sua lotta quaresimale, che una volta arrivò al punto di non rendersi conto che il giorno di Pasqua era arrivato! Ma provvidenzialmente pensò un sacerdote del luogo a dargliene l’annuncio, come pure a portargli un bel pranzo, come alcuni di voi hanno fatto con noi in questi giorni. Ma la tradizione monastica è altrettanto ferma sul fatto che, arrivata la Pasqua, è un serio peccato continuare a digiunare.
Sono giorni di festa e di gioia, nei quali si realizza ciò per cui la penitenza quaresimale ci prepara. Spesso noi monaci però, già prima della chiusura dell’Ottava cominciamo a dire: “ma non era meglio il digiuno? Troppi pasti! Come posso stare vicino a Cristo adesso, con il mio stomaco sempre pieno…”.
La risposta però si trova nella bellissima sequenza che si canta ogni giorno di questa settimana. Mors et vita duello conflixere mirando: dux vitae mortuus, regnat vivus. Il grande premio della vita eterna, o della possibilità di averla, Cristo lo ha vinto per noi tramite una battaglia contro la morte eterna, contro il diavolo, che altrimenti avrebbe tenuto tutti noi nella sua perenne schiavitù. Cristo è vittorioso perché ha combattuto, ha dato battaglia, e non una battaglia qualsiasi, ma una battaglia contro la morte stessa.
Noi monaci e anche voi, fratelli, dobbiamo capire bene questa battaglia, se non vogliamo smarrirci nei prossimi quaranta giorni di festa. In queste ultime settimane si sono verificati attacchi terroristici gravi e numerosi, molta violenza ha colpito degli innocenti; sono poi in atto diverse guerre vere e proprie, sparse per il mondo. Probabilmente anche nelle vostre famiglie ci sono state battaglie, magari su come decidere qualcosa di importante per i figli, su quale priorità dare al lavoro, sui soldi, o su invidie personali.
Anche per noi monaci ci sono state battaglie: su cose spicce, come il tipo di cotto da adoperare per il tetto, ma anche su cose serie, ad esempio su come far fronte alle tante speranze che la comunità ha posto in noi dopo il terremoto. L’arcivescovo ha condiviso con noi le sue preoccupazioni per i bisogni pastorali di Norcia e questo ci ha permesso di comprendere con maggior chiarezza che il nostro compito è di vivere più profondamente la vita monastica nel nuovo monastero in monte, perché Dio sembra avere altri progetti per l’antico monastero in città. Cristo infatti non è venuto per creare un regno materiale, mondano, un’impresa o azienda, che lotta per avere spazio, voce o microfoni.
Non è questo il ruolo del cristiano, e non è quello del monaco. Nel morire per noi sulla croce, il Signore ha invece mutato la natura profonda della sofferenza, radicalmente e per sempre. La vittoria non si trova nella conquista, ma nel poter vivere per un altro mondo, nel poter vivere, sofrire nel silenzio di Cristo, che ha conquistato per noi un regno eterno, senza confini, senza limiti. Si vince amando, si vince morendo.
Ed è così che dobbiamo lavorare nei prossimi quaranta giorni, anzi sempre. Il digiuno e le altre penitenze quaresimali non sono un allenamento per il corpo, per diventare atleti fisici. L’essenza dei fioretti di quaresima è nel sacrificio spirituale, che ha lo scopo di cambiare i nostri desideri, non il nostro appetito. Il problema sostanziale della nostra natura caduta è che vogliamo dare battaglia non per Dio, ma per noi stessi, per sentirci padroni, grandi, maestri.
Non è questa la strada di Cristo; il grande duello della sequenza è uno in cui morendo si vive. Anche il terremoto stesso può aiutarci a capire. Otto chiese a Norcia, tante case, casali o altri immobili sono stati molto danneggiati. Ma pensiamo a quante lotte, litigi, discussioni anche violente c’erano per il controllo di quegli spazi. La morte dei genitori è sempre triste, ma è più triste quando è seguita da una battaglia in famiglia per i beni, beni che non dureranno. Case, chiese, capanni, macchinari, lavoro, soldi e così via… tutti questi non rimarranno per niente. Ma la nostra anima sì, vivrà.
L’anima, già di per sé, è creata da Dio immortale, ma con la risurrezione di Cristo, le nostre anime possono vivere dopo la morte corporale una gioia ed una pace perfette.
A noi ora tocca combattere la battaglia per far morire le nostre passioni, i nostri vizi, per stare con Cristo dopo la nostra morte terrena. Il prefazio della Messa per i defunti ha una frase commovente: “Tuis enim fidelibus, Domine, vita mutatur non tollitur”. Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita è trasformata non tolta. Non c’è una fine vera e propria. Ma questa trasformazione non è automatica.
La battaglia è stata vinta da Cristo, attraverso la morte, per aprirci la via. Se seguiamo lui nella vera battaglia del silenzio, dell’umiltà e del l’obbedienza, le tre virtù principali della regola, godremo della convivenza familiare con Cristo per tutta la vita eterna. Egli è il nostro vero fratello, vero padre, vero amico. Guardando alla Sua morte e alla Sua risurrezione, pensiamo a Lazzaro e a quella bella pala che c’era una volta nella Basilica.
Cristo ha pianto per Lazzaro, suo amico carissimo e l’ha risuscitato, ma solo per la vita terrena: anni dopo infatti, Lazzaro doveva morire di nuovo. Cristo ha pianto anche per noi, ma piangendo, e morendo, ci ha dato una nuova vita non solo per adesso, ma per sempre. Surrexit Christus spes mea. Amen. Alleluia.
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